di Aidi Pasian e Pierluigi Cibin
Festeggiare il San Martino a Torre di Mosto ha sempre un ‘sapore’ particolare: la consueta festa annuale si è svolta Domenica 30 ottobre, cioè in un periodo dell’anno che, per la gente del Basso Piave, ha sempre avuto un significato speciale. Infatti, appena conclusa la festa di San Simión (che tradizionalmente cadeva il 28 ottobre), iniziava la sentita commemorazione dei Santi, percepiti in questo territorio come un tutt’uno con i Morti (tanto che, nelle logiche di pensiero locali, Santi e Morti concettualmente si sovrapponevano).
L’Associazione G.R.I.L. Basso Piave – intervenuta a supporto del Gruppo “Pecore Nere” – insieme alle altre associazioni o realtà produttive locali, ha voluto appunto esporre il proprio messaggio identitario, evidenziando il preciso valore delle feste collocate in quest’arco temporale dell’anno.
Entro un quadro organico che, come sempre, intende rappresentare concretamente scene di vita domestica di un tempo, i membri dell’Associazione hanno coinvolto il pubblico in una serie di riflessioni, in merito alla sostanziale ricchezza di risorse che il territorio di palude possedeva: era infatti capace di offrire all’uomo un’infinità di prodotti che egli, con antica sapienza, sapeva procurare e sfruttare per consentire la sopravvivenza della propria famiglia, soprattutto nel lungo periodo invernale. Ecco allora che, in tale periodo dell’anno, gli uomini potevano impegnarsi in lavori da realizzare artigianalmente, in attesa di adoperarsi nell’attività più attesa dell’anno, la macellazione degli animali, che avveniva appunto nel periodo in cui iniziava la stagione fredda.
Naturalmente, anche il ruolo della donna era fondamentale, poiché doveva saper mantenere il più a lungo possibile quelle risorse, prima procurate dall’uomo e poi lavorate, e quindi debitamente conservate.
San Simión concludeva appunto l’anno solare, ossia la fase in cui la terra offriva i frutti della sua produttività, e le famiglie potevano perciò fruirne, per esempio festeggiando con castagne calde e buon vino, ed ecco giustificato il famoso detto “A San Simión tute ’e fémene ’e va de rebaltón”, perché le donne – non avvezze all’uso del vino (il vino novello della recente vendemmia) non riuscivano a sostenerlo, per quanto ne bevessero pochissimo.
La ricchezza di questo territorio – che qualcuno ancora si ostina a definire ‘povero’ – era generata anche dall’ampia gamma di volatili, di fauna selvatica, di specie ittiche d’acqua dolce che l’abitavano da millenni e che persino Cassiodoro esaltava nei propri scritti, estasiato da una simile abbondanza: un pregio riconosciuto a questo nostro ambiente non solo da chi lo abitava, ma soprattutto da quegli abitanti delle città vicine che, in epoca successiva, ricorrevano ai contadini di palude appunto nei momenti di difficoltà, cioè quando non avevano abbastanza di che cibarsi nel corso dell’anno. Infatti, intorno agli anni ’50-’60 dello scorso secolo, cominciarono ad emergere le problematiche generate dall’opera di bonifica che interessò ampiamente le aree paludose del Basso Piave, determinando una modifica sostanziale del paesaggio, ormai diventato ‘pianura’; a tali modificazioni del paesaggio originario si aggiunsero, poi, le prime forme di industrializzazione.
Con la trasformazione della palude in pianura, le famiglie persero, poco alla volta, l’opportunità di usufruire di tutte quelle risorse che un simile habitat un tempo consentiva: le millenarie logiche di pensiero della gente di palude erano libere dal concetto di ‘proprietà’, mentre quest’ultimo, introdotto originariamente dai Romani, venne radicandosi con la presenza dei nuovi proprietari terrieri già alla fine dell’Ottocento. Dopo la Prima Guerra Mondiale, essi furono finanziariamente in grado di sfruttare le colture in senso estensivo, avviando poi nel secondo Novecento le prime forme di meccanizzazione agricola.
Si è innestato, così, nel territorio di palude, un nuovo paradigma valoriale che, in realtà, non è mai riuscito a scalfire del tutto la preesistente identità, fondata invece su un’evidente e fortissima sintonia fra uomo e ambiente (certamente più rispettosa dell’apporto di entrambi!).
L’Associazione “G.R.I.L. Basso Piave” ringrazia sentitamente quanti hanno contribuito, col loro apporto, alla significativa riuscita di questa giornata di festa che, seppur nata con l’intento di esaltare una semplice realtà locale, è diventata nel tempo un’iniziativa sentita ben al di fuori dei soli confini comunali, diventando ormai un appuntamento imprescindibile all’interno del calendario regionale, in quanto preziosa testimonianza delle antiche tradizioni del nostro territorio.