Alle prime luci dell’alba, il 23 ottobre, nel comune di Torre di Mosto fervevano già i preparativi per la messa in atto della manifestazione dedicata ai festeggiamenti in onore di San Martino, attesa consuetudine dell’anno per questa ed altre località del nostro territorio. È un appuntamento fisso anche per il pubblico che frequenta così spesso quest’occasione di incontro tradizionale.
E, come sempre, si è rinnovato ancora una volta uno splendido sodalizio che chiama in causa, per il buon esito dell’evento, realtà economiche locali, presenti con i propri stand, ed associazioni o gruppi, come l’Associazione “G.R.I.L. Basso Piave” e il gruppo “Pecore nere”, presenti nella piazza antistante il Municipio.
Sentita e calorosa la partecipazione del pubblico, che sempre a Torre di Mosto si presta in modo fattivo insieme al G.R.I.L. nel ricostruire lo spaccato della vita quotidiana degli anziani che un tempo risiedevano appunto nel territorio del Basso Piave.
La rivisitazione storica di quel loro vissuto quotidiano parte dallo specifico allestimento dello spazio messo a disposizione dell’associazione, con la classica suddivisione fra le aree destinate ad accogliere i lavori tipicamente femminili e maschili, spazi sempre adeguatamente separati: è un dato assodato, ormai, che un tempo donne e uomini avevano ambiti e ruoli di intervento ben definiti e distinti all’interno della vita familiare e, se non vi erano particolari esigenze e richieste, nessun uomo o donna subentrava nella sfera che non fosse di propria pertinenza.
Anche i bambini e le bambine, uniformandosi presto alle esigenze della vita familiare, assumevano i medesimi ruoli degli adulti del loro stesso genere e venivano quindi avviati facilmente a svolgere compiti specifici in relazione alla vita nella stalla (per i maschi) o alla piccola gestione della vita domestica (per le femmine). Allora non stupiva affatto vedere una bambina di sei-sette anni già sapientemente avviata alla pratica di eviscerare un pesce o un animale da cortile (per esempio una tinca, un pollo etc.)…
Il compito educativo spettava anzitutto alle donne che si occupavano dei figli fin dalla nascita e dovevano istruirli fino a che essi non erano chiamati ad assumere il ruolo che richiedeva il loro specifico sesso. Ma le donne non svolgevano solo compiti fra i più tradizionali: erano chiamate a mettere in atto tutte le azioni che potevano favorire lo sviluppo del percorso formativo di bambine e bambini.
Agli uomini, è risaputo, spettava anzitutto il compito di reperire tutte le risorse possibili perché la famiglia potesse sopravvivere e continuare ad esistere: dall’ambito della pesca in acque dolci, così ricche di pescato, si passava con altrettanta competenza e bravura all’esercizio della caccia. Ma per abituare i giovani ad assumere un ruolo attivo, sotto questo profilo, li si stimolava presto a costruirsi, con sempre maggiore abilità, oggetti di uso quotidiano: dapprima si trattava di semplici giocattoli, poi di strumenti di uso quotidiano.
Gli anziani, ossia gli adulti che in famiglia risultavano i più abili nel trasmettere valori e capacità – per la loro esperienza di vita anzitutto, ma anche per la loro saggezza relazionale – sapevano instaurare un dialogo costruttivo e duraturo con i giovani: questi crescevano abituandosi ad essere responsabili e capaci di sbrogliare autonomamente i nodi complessi della quotidianità.
I vari momenti di crescita erano supportati, naturalmente, da varie forme di gioco, ma esso in realtà preludeva sempre allo sviluppo di abilità di cui usufruire poi nella vita. Non mancava mai, per esempio, il salto alla corda, che tanta partecipazione vede sempre da parte dei ragazzi e dei bambini, e che li attrae soprattutto quando gli adulti davano il loro apporto al gioco. Anche gli anziani davano il loro contributo al buon esito del gioco, per esempio costruendo la stessa corda.
E, naturalmente, nella realizzazione di cavaìni e altri giocattoli di piccola taglia, i nonni in piazza hanno continuato a suscitare la curiosità dei più piccoli, non più abituati ai giorni nostri ad osservare queste forme di manualità che un tempo, invece, avevano lo scopo di affinare la fine motricità.
Come è ormai prassi consolidata per i membri dell’Associazione, anche quest’anno sono stati proposti filastrocche, canti e balli tipici, come “La bela polenta” (sempre richiesta a gran voce), tramandati fortunatamente dai nostri emigranti che, anche se lontani dal nostro continente, ancora li ricordano e li praticano.
Ma è stato doveroso anche ricordare al pubblico uno dei punti di maggiore interesse storico del territorio del Basso Piave, ossia “Busatonda”.
Un omaggio tutto dedicato a Torre di Mosto è stato, invece, quello riferito a “Marìdete Orelia”, una delle pochissime canzoni autoctone, lasciate andare nell’oblio per il suo contenuto, poco compreso in effetti da chi non conosce profondamente l’identità di palude o non la riconosce più perché soppiantata da quella di pianura: tale fenomeno, ovviamente, ha cominciato a interessare il territorio del Basso Piave a seguito della bonifica, con l’introduzione di una mentalità tipica del mondo contadino-patriarcale che si è scontrata con la precedente cultura identitaria che caratterizzava il Basso Piave e che vedeva come centrale la figura femminile. Storicamente, questa nostra specifica componente identitaria è evidente nel culto originario rivolto alla dea Reizia, travasato poi in quello cattolico che lo rende così persistente nei confronti della Madonna, talora venerata e implorata con maggior frequenza perfino del Cristo.
Del resto, i tanti capitelli votivi a lei dedicati nel nostro territorio, ancor oggi confermano questa devozione, niente affatto casuale!
L’Associazione ringrazia in particolare il gruppo “Pecore nere”, per l’invito rivoltole, per l’immutabile amicizia, per la grande disponibilità e il supporto logistico dimostrati nel corso dell’evento, nonché la Pro Loco e l’amministrazione comunale.
Un grande ringraziamento va, però, anche a tutti i ragazzi di Torre di Mosto: molti, già presenti durante la scorsa edizione dei festeggiamenti, sono tornati a salutare con gioia i membri dell’Associazione offrendosi come instancabili partecipanti ai giochi messi in atto.