Gente di palude del Basso Piave

 

di Aidi Pasian e Pierluigi Cibin

 

Si è concluso a San Donà di Piave il Festival della Bonifica, che nelle giornate dal 24 al 27 maggio ha inteso richiamare l’attenzione del pubblico su aspetti storici fra i più significativi dell’opera di bonifica, in particolare per ciò che ci riguarda il territorio del Veneto e del Basso Piave.

L’evento, intitolato TerrEvolute e curato dalla prof.ssa Elisabetta Novello (DiSSGeA, Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità, Università di Padova), è stato promosso da Anbi Veneto (Associazione dei Consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue) e dal Consorzio di Bonifica Veneto Orientale, ma ha coinvolto diversi protagonisti nell’ambito della lunga kermesse durata tre giornate.

Naturalmente, oltre a simposi e incontri che hanno coinvolto in varie forme la popolazione, erano previste anche visite a vari impianti idrovori del nostro territorio, come ad esempio l’idrovora di Cittanova, di Torre di Fine o di Termine, ove tecnici specializzati hanno illustrato con dovizia di particolari non solo il funzionamento degli impianti, ma anche l’utilità attuale di tali manufatti, al di là delle motivazioni storiche della loro realizzazione (eliminare l’acqua quanto più possibile, gestendola, e dunque l’ambiente paludoso caratterizzato dalla presenza della zanzara anofele, per ottenere ampie porzioni di terra da sfruttare sotto il profilo agricolo, specifico interesse dei grandi proprietari terrieri soprattutto durante l’epoca fascista).

E proprio presso l’impianto idrovoro di Cittanova sabato 26 e domenica 27 maggio era presente l’Associazione G.R.I.L. Basso Piave che ha accettato l’invito rivoltole da Alice Vacilotto (Università di Padova) ad accogliere il pubblico in visita mostrando il particolare vissuto della gente di palude, la quale da tempi antichi aveva imparato a convivere con questo ambiente così complesso per la sopravvivenza, riconoscendone però fin da subito l’evidente valore difensivo. Acqua e canne palustri hanno costituito per le popolazioni venetiche un sicuro rifugio, un’opportunità di fuga da popoli che tentavano di entrare in territorio italico (si pensi al famoso “caso di Oderzo”, poi distrutta dai Longobardi), ma che difficilmente riuscivano a penetrare un simile ambiente: infatti, si faticava a farvi transitare mezzi su ruota e, in ogni caso, anche muoversi a bordo di piccole imbarcazioni era piuttosto rischioso per chi non conosceva l’intricata trama dei corsi d’acqua interni.

Insomma, fin dalla sua origine si è trattato di un mondo difficile da avvicinare, conoscere, comprendere.

L’identità territoriale e la cultura popolare che l’uomo di palude vi seppe costruire e sviluppare sfugge ancora oggi ai più: la popolazione volutamente cercò di salvaguardare la propria comunità, restando in qualche modo ‘nascosta’ entro una simile realtà geografica, perfettamente mimetizzata ed integrata con tale ambiente (un’arte che aveva appreso fin dai tempi antichi).

Così si è mantenuta fino alla fine dell’Ottocento, quando altre identità e altri interessi giunsero a modificarne la sostanziale uniformità geografica ed etnografica (neppure la Serenissima Repubblica di Venezia fu mai interessata alla palude del Basso Piave, se non quando si trattò di alterare, attraverso monumentali tagli, il corso dei fiumi Sile e Piave, ai fini della propria salvaguardia ambientale).

Nonostante dopo il 1903 si sia fatta più consistente l’opera di bonifica e dunque si sia sempre più manifestata la volontà di “bonificare” anche la società di palude, ritenuta povera e primitiva, la gente che continuò a vivere nel Basso Piave non dimenticò la sua originaria peculiarità sociale: determinate logiche di pensiero sopravvissero almeno fino agli anni Sessanta, quando nuove forme di industrializzazione (peraltro mai del tutto consolidata) cominciarono ad attrarre i giovani e a tentare di allontanarli dai loro atavici valori.

L’Associazione ha inteso ricordare specifici aspetti dell’originaria cultura identitaria territoriale, presentando al pubblico un messaggio culturale ampiamente variegato e ricco di attività, giochi, lavori, racconti, poesie e canzoni riferite a quel tempo; ed in particolare, anche alcuni canti legati all’epopea della prima emigrazione che partì appunto dalle paludi venete alla volta del Nuovo Mondo, alla ricerca di quella terra che – proprio con l’opera di bonifica – era stata tolta alla gente di palude (alla quale le logiche della ‘proprietà’ terriera  erano sconosciute: la palude, infatti, apparteneva a tutti, così come le risorse che quell’ambiente offriva). Episodi drammatici, come quello dell’affondamento del piroscafo Sirio, si sono sovrapposti agli arrivi che ebbero invece esiti più felici, per quanto poi la sopravvivenza nel Nuovo Mondo abbia comunque messo a dura prova la nostra gente!

In ogni caso, sia chi se n’è andato sia chi è rimasto ha voluto   tenacemente mantenere i propri valori, nonostante il sovrapporsi di altre identità, provenienti soprattutto dai territori di pianura circostanti al nostro (in particolare quello trevigiano, padovano o dell’entroterra veneziano).

E con analoga tenacia l’Associazione intende proseguire l’opera di salvaguardia di quell’antica identità di palude, dimostrata anche in quest’occasione al pubblico presente attraverso i tanti saperi dimenticati che i nostri “nonni” sapevano trasmetterci attraverso le loro esperte azioni quotidiane.

 

 

 

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